Il direttore del Tg5 Clemente Mimun

Clemente Mimun: «Vi racconto la follia di fondare il Tg5»

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Avatar photo Gianluca Veneziani

Sono passati 30 anni dal giorno in cui un manipolo di giornalisti coraggiosi si cimentò in un’impresa folle: sfidare le corazzate del servizio pubblico, dando vita al Tg5, primo tiggì su rete commerciale a diffusione nazionale. Ci aiuta a ricordare quel momento Clemente Mimun, tra i fondatori e attuale direttore del Tg5, che il 13 gennaio celebrerà il trentennale con un servizio di oltre 6 minuti sulla propria storia e un’intervista a Piersilvio Berlusconi.

Mimun, quel 13 gennaio 1992 fu la rivoluzione copernicana dell’informazione tv?

«Fu un gesto di incoscienza, nato da un’idea di Silvio Berlusconi, che decise di sfidare il Tg2 delle 13 che faceva il 40% di share e il Tg1 delle 20 che faceva il 35%. Noi eravamo dei 40-45enni, capitanati da Enrico Mentana, con me come numero 2 e Lamberto Sposini numero 2 bis, e poi c’erano Cristina Parodi, Cesara Buonamici ed Emilio Carelli: era una sfida apparentemente impossibile, ma al fondatore del nostro gruppo editoriale le sfide impossibili piacciono moltissimo».

Cosa rese e rende tuttora vincente quella sfida?

«Allora fu la sorpresa, anche se la prima edizione serale del Tg fu un disastro (sorride, ndr). Mancavano i servizi e Mentana fece uno slalom gigante per portare a termine la conduzione. Lanciava i servizi e dalla regia gli dicevano continuamente che non erano pronti. Ciononostante, quell’edizione superò i 7 milioni di spettatori, battendo il Tg1. Quel pubblico continua a seguirci ancora oggi: tra la varie edizioni il Tg5 registra circa 10 milioni di telespettatori al giorno ed è leader da 30 anni sul pubblico 15-64 anni, che è il più pregiato. Il segreto tuttora è nella formula iniziale: essere dalla parte dei cittadini e non essere abbeverati dal Palazzo e dal politichese. Del resto gli obiettivi del Tg5 coincidono con quelli di Mediaset: fare cose di qualità, garantire ascolti importanti e rispettare in modo rigoroso il budget».

Come è cambiato il tg in 30 anni?

«Dal punto di viste delle tecnologie, siamo all’avanguardia, essendo entrati da tempo nel digitale. Il Tg5 è come i grandi network internazionali: dopo che le immagini vengono girate, il giornalista le seleziona, scrive il testo del servizio e lo monta. Cosa che non avviene dappertutto, di certo non nel servizio pubblico. Noi a Mediaset con un quarto dei giornalisti della Rai facciamo una massa di prodotti analoga.    Né subiamo il peso della politica: in Rai c’è la coabitazione tra il ruolo del Parlamento e il sindacato Usigrai che la fa da padrone in mille cose. Quando ero direttore del Tg2 e del Tg1 ci sono state mille polemiche pretestuose, perché mi chiedevano di accettare un consociativismo che io invece non permettevo. Nei tiggì deve essere il direttore a guidare l’aereo: se fa bene, saranno i risultati a farlo confermare. Non è un caso che il Tg5 abbia avuto in 30 anni tre direttori. Basta guardare invece quanti direttori hanno avuto Tg1, Tg2 o Tg3 nello stesso tempo: alcune decine».

Lo scoop o l’intervista di cui il Tg5 può vantarsi?

«Penso all’intervista di Sposini a Borsellino all’indomani della morte di Falcone, al servizio in occasione del crollo della volta della Basilica di Assisi, o all’intervista di Mentana a Farouk Kassam. Ma il vero scoop è riuscire a fare un buon tiggì tutti i giorni».

Lei ne è diventato direttore nel 2007 senza lasciarlo più. Qual è il segreto per durare così a lungo?

«Monsignor Andrea Spada fu direttore de L’Eco di Bergamo per mezzo secolo: un record insuperabile. Può darsi invece che io dopo 50 anni di direzione mi sia rotto i coglioni o abbia tirato le cuoia. Comunque il segreto è il culto del lavoro, mi diverto solo lavorando. E poi c’è un grande attaccamento alla maglia. Mi sento un po’ come Alex Ferguson, che rimase alla guida del Manchester Utd per decenni».

Ha mai rimpianto il fatto di aver lasciato il Tg5 nel ’94 per approdare in Rai?

«No, perché così sono cresciuto, ho preso un sacco di botte e tante ne ho date anche io. In realtà al Tg2 è stata una bellissima esperienza professionale. Al Tg1 invece ho provato sulla mia pelle cosa significasse il peso dei partiti e dell’Usigrai, quindi non lo rimpiango minimamente. Del Tg1 rimpiango solo colleghi come Vincenzo Mollica. Tra gli attuali giornalisti Rai, prenderei solo Laura Chimenti per portarla al Tg5. Per il resto, preferisco attingere alla lista di precari giovani e bravi che abbiamo a Mediaset».

Quando la richiamarono al Tg1 nel 2008, lei rifiutò dicendo «No, grazie. Preferisco vivere». Cosa non la faceva vivere al Tg1?

«Il clima irrespirabile. C’erano alcuni giornalisti con cui era impossibile legare. Da quel punto di vista il Tg1 non era il mio ambiente».

Lei veniva accusato di essere filo-berlusconiano. Altri direttori sono stati molto meno liberi di lei?

«Basta guardare quei direttori che sono durati lo spazio di un mattino, come Gad Lerner o Rodolfo Brancoli. Stimo molto invece l’attuale direttore del Tg1, Monica Maggioni, perché viene dalla gavetta ed è un’inviata eccezionale. Sono sicuro che ci divertiremo a battagliare, ma anche che faremo un tg più interessante del suo».

Qual è il segreto che fa stare Cesara Buonamici al Tg5 da 30 anni?

«Cesara è la più brava conduttrice di tg in Italia. È rassicurante, entra nelle case con gentilezza, non ha bisogno di mettersi di sbieco come la Gruber o di far finta di sapere tutto come la Busi».

Il Tg5 è stato anche fucina di talenti. Chi è il giornalista più bravo in cui si è imbattuto?

«Mi riesce difficile indicarne uno. Io ho portato con me il bravissimo Andrea Pucci, direttore di NewsMediaset, e Claudio Fico, che ha tutte le qualità per dirigere qualsiasi cosa».

Il Tg5 ha attraversato Prima, Seconda e Terza Repubblica. Dal ’92 a oggi la qualità della classe politica è calata?

«Be’, da Fanfani a Berlinguer, da Moro a Craxi, parliamo di persone di grandissima caratura. Quando uno diventa un po’ anziano come me, generalmente predilige il passato. Quanto al presente, vedo in Draghi un personaggio che merita rispetto e lo ottiene, e in Berlusconi un uomo che, entrando in politica, ha rivoluzionato tutto e si è guadagnato un posto importante a livello mondiale».

Chi si auspica come capo dello Stato?

«Il Tg5 racconterà tutto in modo super partes ma, se chiedete a me chi preferisco, dico Berlusconi al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi».

Quali sono i suoi rapporti con gli altri fondatori del Tg5?

«Con Mentana siamo amici fraterni. La Parodi non la sento da un sacco di tempo, di Sposini so sue notizie costantemente: a differenza di me, che ho avuto un ictus 11 anni fa e ne sono uscito, purtroppo lui non ha recuperato come speravamo».

Cosa farebbe Mimun, quel giorno lontano in cui dovesse lasciare il Tg5?

«Non è in programma. Al massimo potrei andare in trasferta a vedere la Lazio, in caso giocasse un po’ meglio di adesso».

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