Il critico d'arte Tomaso Montanari

Il rettore Montanari ormai è un comico (a sua insaputa)

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Sta facendo di tutto per trasformarsi in una macchietta e forse è il caso che Crozza gli dedichi al più presto un’imitazione. Tomaso Montanari, storico dell’arte e rettore dell’Università per Stranieri di Siena, è ormai la parodia di se stesso e, in quanto tale, pare non più in grado di ricoprire l’incarico di alto valore istituzionale affidatogli, perché creduto (a torto) autorevole studioso.

Così la pensano gli esponenti di Fratelli d’Italia (e non solo loro, a dire il vero), che hanno appena lanciato una raccolta firme per chiedere le dimissioni di Montanari da rettore a causa delle sue «dichiarazioni discutibili di tenore politico di parte». Come esortano Lorenzo Rosso, dirigente nazionale di Fdi, e Massimiliano Mari, responsabile organizzativo del circolo Fdi di Siena, «Montanari lasci la nostra prestigiosa istituzione e si dedichi alla sua passione politica, ponendo fine a ogni azione lesiva dell’immagine della città di Siena e delle sue istituzioni».

Insieme alla sua palese faziosità, a motivare la richiesta di dimissioni c’è l’incompetenza cronica manifestata da Montanari nei vari campi in cui si atteggia a esperto, rivelandosi tuttavia nientologo. La scorsa estate Tomaso – «gli manca una M decisiva», disse di lui Giuliano Ferrara – ha indossato goffamente i panni dello storico contemporaneo, sostenendo la tesi per cui l’istituzione del Giorno del Ricordo in onore dei martiri delle foibe e delle vittime dell’esodo sarebbe «una falsificazione storica», prodotta da un «revisionismo di Stato» portato avanti dalla destra. Seguiva un’argomentazione bislacca che minimizzava la tragedia, con una macabra conta dei morti, e la derubricava a evento marginale, offendendo così insieme le vittime, la serietà della ricerca storica e il buon senso. In tanti avevano chiesto già allora la sua cacciata, ma Montanari era rimasto imbullonato alla poltrona, da buon filo-grillino qual è.

Una volta superata la buriana, il Nostro si era esibito in un altro dei suoi travestimenti, da Zelig consumato. Eccolo allora calarsi nelle vesti arcobaleno di paladino Lgbt e lanciare l’ideona di creare nell’università da lui presieduta bagni non più soltanto «binari» ma «inclusivi», cioè indifferentemente accessibili da maschi, femmine, trans, bisex e via dicendo, con tanti saluti alla privacy, alla decenza e alla possibilità di pisciare in santa pace.

Un rettore alla frutta

La lotta alla diseguaglianza nel wc era solo una tappa intermedia prima della nuova battaglia, e cioè la sfida alle palme che campeggiano nel giardino del Quirinale. Improvvisandosi esperto di botanica, il magnificentissimo rettore prendeva un altro scivolone, letteralmente su una buccia di banana. Ecco il suo commento via Twitter al discorso di fine anno di Mattarella con sullo sfondo un palmeto: «La prevalenza della palma nell’iconografia presidenziale. Il ritorno del rimosso: la repubblica delle banane che siamo». Peccato che Giovanni Grasso, il portavoce di Mattarella, gli faceva sommessamente notare che «Il frutto della palma è il dattero, l’albero che produce le banane è il banano». Che dire, un rettore alla frutta.

Ma, a essere onesti, Montanari aveva già dato più volte segnali di tendenza allo sproloquio. Un paio di anni fa, credendosi critico cinematografico, si era azzardato a liquidare così il regista Franco Zeffirelli appena scomparso, definendolo «un insopportabile mediocre, al cinema inguardabile»; e nel contempo si convinceva di essere esperto di giornalismo e letteratura, permettendosi di bollare Oriana Fallaci come «orrenda» e «ideologicamente mostruosa». Dall’alto del suo non-sapere Montanari si è finto anche intenditore di gestione di crisi sanitarie, provando a insegnare il mestiere al commissario Figliuolo, «quel tizio in mimetica, loquace ma inconcludente», e pure a Draghi, etichettato come «il nostro Bolsonaro» (posto che questo sia un paragone insultante), in quanto colpevole di provare a riaprire il Paese.

I precedenti fallimentari

Il vero dramma per Montanari tuttavia è che, quand’anche lasciasse l’università per la politica, rischierebbe di non fare una figura molto migliore. Già da ragazzino provò a cimentarsi nell’agone, da rappresentante d’istituto al liceo classico Dante di Firenze: in quegli anni però assunse lo stesso ruolo in quella scuola un certo Matteo Renzi, che si dimostrò un tantino più bravo di Tomaso a fare politica. Quando poi nel 2017 Montanari ha lanciato una coalizione civica di sinistra chiamata Libertà e Giustizia per creare un’«alternativa al Pd» e «portare in Parlamento la metà del Paese che non vuole andare a votare», il progetto è stato tristemente abortito. Più o meno come le sue intenzioni di scendere in campo coi 5 Stelle, ogni volta rimaste tali forse perché Tomaso era troppo per la politica…

Del resto Montanari, più che un militante, si sente un teorico, un ispiratore illuminato, un intellettuale impegnato (sì, a sparare fregnacce). Una volta ebbe a dire: ««I 5 Stelle hanno costruito una parte importante del programma sulla cultura partendo dai miei libri». Frase da cui si capiscono tante cose sui grillini, ma pure su Montanari.

Libero, 9 gennaio 2022

 

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