Patrick Zaki

Zaki si faccia furbo, non scherzi col fuoco

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Avatar photo Gianluca Veneziani

Il ragazzo è intelligente, ma gli converrebbe farsi furbo. Dovrebbe usare un po’ più di prudenza Patrick Zaki, lo studente egiziano imputato in un processo per diffusione di notizie false, la cui udienza di ieri al tribunale di Mansura è stata rinviata dai giudici al 6 aprile. La tappa giudiziaria di ieri è finita con una punta polemica da parte di Zaki che ha detto di essere stato «messo per mezzora nella gabbia degli imputati». E un affondo anti-regime via social: uscito dal tribunale, lui ritwittava un messaggio della Boldrini secondo cui «il rinvio dell’udienza conferma la volontà delle autorità egiziane di perdere ancora tempo. Si interrompa questo ostracismo».

Chiariamo subito, a beneficio degli stolti: apprezziamo la passione civile e il coraggio di Zaki, quella sana dose di incoscienza connessa alla sua età, così come la volontà di anteporre la fede in una causa rispetto al proprio destino: lo studente è stato incarcerato e mandato a processo per aver scritto un articolo a difesa dei cristiani copti; la sua battaglia nobile riguarda dunque sia la libertà di espressione che quella religiosa. Pertanto gli auguriamo il meglio, un ritorno alla libertà con dichiarazione piena della sua innocenza, e magari un pronto ritorno in Italia, per continuarvi a studiare.

Quei tweet anti-regime

Tuttavia farebbe bene a mostrarsi cauto, lo studente dell’Università di Bologna scarcerato lo scorso dicembre, per evitare una nuova recrudescenza del regime nei suoi confronti, vista la fragilità, per usare un eufemismo, del sistema dei diritti in Egitto. Le recenti esternazioni di Zaki su Twitter e a mezzo stampa non contribuiscono certo a questo scopo. Sono stati numerosi i suoi interventi (condivisibili, beninteso) a difesa dei diritti civili e critici verso i metodi repressivi del governo di Al-Sisi, in una fase in cui un silenzio osservante lo avrebbe aiutato. Era il 19 gennaio quando Zaki rilanciava questo tweet di Mary Lawlor, corrispondente dell’Onu per la difesa dei diritti umani: «Molti egiziani continuano a essere detenuti senza accusa per lunghi periodi di tempo o sono stati condannati in processi ingiusti o aggiunti alla lista dei terroristi».

Sempre sulla sorte dei dissidenti il 15 gennaio lo studente egiziano ritwittava un messaggio a sostegno di due avvocati perseguitati: «Nonostante gli ordinamenti giudiziari abbiano stabilito che non ci sono basi per continuare a indagare gli avvocati Negad el-Borai e Azza Soliman nel loro infame caso, a entrambi continua a essere negata la possibilità di viaggiare». Sentiva di esprimere la sua solidarietà per un altro «eroe» e «combattente» l’8 gennaio, Patrick Zaki, commentando la scarcerazione di Ramy Shaath, attivista egiziano-palestinese: lo studente rilanciava un tweet che parlava di «oltre 900 giorni di detenzione arbitraria» e, in merito all’espulsione di Shaath dall’Egitto, sosteneva che «nessuno dovrebbe essere costretto a scegliere tra la propria libertà e la propria cittadinanza». A ciò si sommano le dichiarazioni rilasciate ai media italiani prima dell’ultima udienza.

La virtù della prudenza

Parlando al Gr1, Zaki aveva detto di voler continuare le sue «battaglie» per la libertà, anche nel suo Paese: «Non smetterò, voglio difendere i diritti di tutti, sono consapevole dei rischi che corre un attivista in Egitto». Frasi apprezzabili, per carità, che tuttavia devono sempre tenere conto del contesto. Ci viene in mente quanto aveva detto la mancata presidente della Repubblica Elisabetta Belloni due anni fa sul caso Regeni. Alla domanda se l’Egitto fosse sicuro o meno, aveva risposto: «Dipende. Io vado in Egitto come funzionario, diverso è se si vanno a fare certe attività di ricerca invasive rispetto a un ordinamento diverso dal nostro». Se l’Egitto è sicuro o no dipende da «chi si reca in Egitto e che tipo di attività intende svolgere». Della serie: bisogna avere cautela, proprio perché in Egitto non c’è un regime democratico.

E allora, se Zaki vuole tornare a studiare a Bologna e non solo continuare a dare esami a distanza, come è successo alcuni giorni fa, farebbe bene a esercitare le virtù della pazienza e della prudenza: stia un po’ in disparte, si lasci scarcerare e poi, una volta giunto in Italia, continui pure a esercitare la sua attività di dissidente. Vogliamo uno Zaki “esule” nel nostro Paese ma libero e non uno Zaki attivista in Egitto e martire.

Libero, 2 febbraio

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