Un uomo che moraleggia è di solito un ipocrita, diceva Oscar Wilde, che pure non aveva mai conosciuto il Pd. Ma che conosceva bene i pregiudizi, la doppiezza e il falso conformismo della società puritana del suo tempo.
Molti anni dopo in Italia Enrico Berlinguer, allora segretario del Partito Comunista, pose al vertice dell’agenda politica la cosiddetta «questione morale», come ricorda Francesca Totolo in questo libro interessante e ben documentato (La morale sinistra. Il vero volto dell’antifascismo, Altaforte, pp. 288, euro 22). L’approccio di Berlinguer e dei comunisti era simile a quello dei borghesi di età vittoriana nei confronti di Wilde: entrambi pretendevano di ergersi a giudici della moralità altrui, rivendicando una superiorità etica e antropologica. Nel caso delle parole di Berlinguer, si trattava dell’orgogliosa auto-attribuzione di una integrità assoluta nella gestione della cosa pubblica e del contemporaneo sprezzo verso chi si macchiava di nefandezze, badando soltanto a benefici privati o servendo interessi di parte.
Ecco che allora esattamente 40 anni fa, nel 1981, il segretario del Pci poteva affermare, in modo insieme tronfio e indignato: «I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela (…). Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi (…). La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati».
Snobismo morale e culturale
È interessante comprendere di cosa fossero conferma, queste parole, e di cosa sarebbero state invece l’anticamera. Da una parte, esse testimoniavano che il contrassegno del potere esercitato dalla sinistra in Italia non si riassumeva soltanto nella celebre egemonia culturale gramsciana, ossia nell’occupazione sistematica di tutti gli istituti e le sedi dove si provvede all’educazione, la formazione e l’informazione, dalla scuola all’università fino all’editoria. Esse mostravano anche che l’esercizio della superiorità autoproclamata della sinistra rispetto agli altri partiti si manifestava in un’ottica morale, nel senso di una sedicente etica integerrima che consentiva la denuncia, la riprovazione, il vituperio e la messa alla gogna di chi non si adeguava a quegli standard di rettitudine e virtù. Loro non sono come noi, puri e colti, era la logica. Snobismo insieme morale e culturale. Con la pretesa connessa di aver portato sulla Terra e incarnato nelle proprie persone e nel proprio partito le idee platoniche del Vero e del Giusto. E senza la minima avvertenza della contraddizione, e cioè di quanto fossero paradossali le dichiarazioni critiche contro l’occupazione dello Stato a opera dei partiti, fatte dal segretario di un partito che aveva “occupato” culturalmente il Paese, e la denuncia delle guerre per bande da parte del massimo esponente di uno schieramento che già soffriva e poi avrebbe sofferto in maniera cronica di correntismo.
Dall’altra parte, le dichiarazioni di Berlinguer sarebbero state pregne di effetti a breve e a lungo termine. Avrebbero generato, di lì a un decennio, la stagione di Tangentopoli, la caccia sistematica al “ladro” e al “corrotto”, la delazione costante e lo sputtanamento sui media, infarciti da un giustizialismo ideologico, dalla confusione tra sospetto e prova di reato e dall’ambizione fanatica, degna di un Robespierre, di voler epurare quanti si fossero macchiati di qualche presunta colpa e di bonificare e rendere migliori la società e l’umanità. Naturalmente, da quel feroce ciclone giudiziario scatenato dalle Procure, in primis quella di Milano, che avrebbe travolto un’intera classe politica, rottamato un’intera stagione istituzionale, la cosiddetta Prima Repubblica, e causato drammi intimi, si pensi ai suicidi e alle carcerazioni preventive e immotivate di innocenti, tra i pochissimi a salvarsi ci sarebbero stati appunto i comunisti (nonostante i rubli ricevuti dalla Mosca sovietica, ben ricorda la Totolo). Ma, dove non poté la giustizia, riuscirono poi la storia, la politica e la fine delle ideologie a far tramontare il sol dell’avvenire e la sua creatura partitica, il Pci.
Il secondo effetto, a lungo termine, riguarda la nascita della rabbia e del Vaffa grillini, l’odio anti-Casta e il grido «onestà» con cui si è cercato di moralizzare la vita politica e di rottamare gli occupanti del Palazzo, mandandoli a Casa o, se possibile, in Carcere. È verosimile che i grillini non lo sapessero, data la loro scarsissima cultura politica, e non soltanto politica, ma, quando essi chiedevano di cacciare i corrotti e di ammanettare i disonesti, citavano il Berlinguer che lamentava «corruttele e scandali nella vita dei partiti governativi, omertà e impunità per i responsabili». E curiosamente ripetevano quello che, poco prima della nascita del MoVimento 5 Stelle, già scriveva il Pd nel suo Codice etico del 2007, e cioè: «Le donne e gli uomini del Partito Democratico ispirano il proprio stile politico all’onestà e alla sobrietà». Cosa abbia prodotto quella moralizzazione della vita pubblica, imposta prima da Tangentopoli e poi invocata dai grillini, e sollevata in nome della «questione morale» cara ai comunisti, possiamo oggi constatarlo coi nostri occhi. Abbiamo tra noi politici non molto più onesti, ma infinitamente più incapaci.
L’ipocrisia dei cattivi maestri
L’aspetto sul quale però il libro della Totolo insiste è l’ipocrisia degli eredi del Pci, quella che, giusto per restare nell’ambito etico proclamato prioritario da Berlinguer, potremmo chiamare doppia morale. I presunti maestri che pretendevano di farci la lezioncina su come ci si debba comportare nell’amministrazione della cosa pubblica, nella gestione del partito e nel rapporto fiduciario tra elettori ed eletti, si sono dimostrati non solo pessimi esecutori di quei nobili principi (ché, si sa, in politica è facilissimo predicare bene e razzolare male), ma molto spesso anche cattivi maestri. Lo conferma la discesa nell’Inferno rosso compiuta dall’autrice e segnata, non a caso, da citazioni dantesche messe in esergo a ogni capitolo: un viaggio che va da intellettuali de la gauche ispiratori o artefici della lotta armata, protagonisti della stagione del terrorismo e poi ritrovatisi muniti di cattedre, tribune mediatiche o poltrone in Parlamento, a politici di sinistra accusati o condannati per reati gravissimi come violenza sessuale o stalking, fino a personaggi, personaggetti o peones di quell’area politica coinvolti, in maniera diretta o indiretta, in scandali relativi all’esercizio del potere: da cui le sanitopoli, le concorsopoli, i finanziamenti illeciti, perfino le contiguità con la criminalità organizzata.
Un quadro infernale che non dimostra certo che a sinistra sono tutti farabutti, in quanto le accuse vanno sempre provate in giudizio e le responsabilità penali – ed è un principio che dovrebbero imparare i nipotini dei comunisti – restano sempre personali, non sono mai collettive o di partito. Nondimeno si tratta di un quadro esaustivo che testimonia come i paladini della questione morale non abbiano alcun titolo per fare agli altri, appunto, la morale.
Il nuovo moralismo privato
A ciò – ma qui esuliamo dalla traccia del libro in questione – si somma un ultimo aspetto. Non potendo più dare lezioni dal punto di vista dell’etica pubblica, a sinistra da qualche tempo hanno ripiegato su un moralismo privato, ancor più ideologico, più puritano e più morboso, che vorrebbe insegnarci come corteggiare una donna, con chi andare a letto, quale condotta sessuale sia lecito avere, invocando in caso di disobbedienza gli spettri del sessismo, della misoginia, del maschilismo; lo stesso moralismo che ha portato a spiare dal buco della serratura i politici dello schieramento avverso e a giudicarli per le “prestazioni” in camera da letto anziché in Camera dei deputati. Curiosamente questa morale sinistra viene oggi proclamata dai discendenti di quanti, mezzo secolo fa, chiedevano a gran voce la liberazione sessuale e la rivoluzione dei costumi; e rivendicata dagli stessi esponenti politici che invece, per quanto riguarda il fronte omosessuale, predicano una morale libera, fluida, disinibita, facendo dell’amore (per lo stesso sesso) un criterio giuridico sulla base del quale legiferare.
Tutto ciò palesa la confusione, culturale, politica e anche morale, della sinistra che oggi fatica a riconoscere la propria identità, avendo smarrito o tradito i principi sulla base dei quali impartiva lezioni e ignorando ormai il senso e lo scopo della propria azione nel tempo. La vera questione morale oggi a sinistra è che la sinistra non sa più quale sia la morale della Storia.
Prefazione al libro La morale sinistra (Altaforte, 2021) di Francesca Totolo